Identità di genere, stereotipi e media: qualcosa sta cambiando?

Identità di genere, stereotipi e media: qualcosa sta cambiando?


31 Marzo 2015, Fiera del libro di Bologna. Introduce Luisella Arzani, esperta di Pedagogia di genere e curatrice della collana Sottosopra EDT-Giralangolo.


Partiamo subito da un presupposto: abbiamo un reale bisogno di modelli non stereotipati, di storie libere che lascino pensare ai bambini che hanno la possibilità di fare scelte multiple e uguali. I mass media, mezzi di comunicazione di massa appunto, sono un’agenzia di socializzazione, oltre alla famiglia e alla scuola e hanno un grande peso su come è rappresentato il genere, sul rapporto del processo identitario di bambini e bambine, su quanto incide davvero nella loro identità.

L’influenza della percezione del mondo circostante avviene fin troppo per mezzo dei media, quindi riguarda anche l’identificazione tra i generi. Gli stereotipi sessisti hanno un potere restrittivo nell’identificazione di genere, sono potenti, ma l’immagine alternativa, gli anti-stereotipi lo sono ancora di più. Ecco perché è nata la polemica, che in alcuni casi è degenerata. Ha creato scalpore una storia in cui il nonno lavora in casa mentre la nonna è nei campi con il trattore. Cerchiamo di affrontare il rapporto potenziale tra media e cambiamento sociale.


Il primo intervento è quello di Alex Corlazzoli, giornalista ma anche maestro in una scuola primaria nella campagna di Cremona, dove la dicotomia campagna e città è ancora evidente. Soprattutto per quello che riguarda le “cose da maschi e quelle da femmine”. I due settori sono ben distinti. Ma se Giulia gioca a calcio, invadendo un campo solitamente attribuito ai maschi, viene considerata una bambina in gamba, coraggiosa, brava. È accettata dalla comunità senza troppi problemi. Non accade la stessa cosa se a voler fare danza è Mattia. Quindi, il problema di genere non penalizza solo la sfera femminile.

La dicotomia di genere spicca soprattutto nel rapporto con il proprio corpo: i maschi si sporcano, è loro concesso un atteggiamento spavaldo, anche rude. Le bambine invece sono legatissime all’apparire, utilizzando tutti gli accessori possibili. Sicuramente in loro c’è l’emulazione dei genitori. E quello che guardano in televisione. Se osserviamo i loro disegni, noteremo le bambine rappresentate sempre con i capelli lunghi, cosa mai verificatasi per un maschio. Per quanto riguarda le letture: i maschi leggono i fumetti mentre le femmine hanno le riviste femminili di moda, che portano anche a scuola e nascondono sotto il banco. Il fatto che le bambine della scuola primaria leggano con interesse le riviste di moda però, rivela il processo di adultizzazione precoce in atto. Molti sono gli stimoli che ricevono e che le conducono verso quella direzione.

Se si chiede cosa vorrebbero fare da grandi: le femmine scelgono professioni quali maestra, infermiera, dottoressa mentre i maschi scelgono tra il contadino, il camionista, il veterinario. Nessuno ha mai detto il maestro. Quello che li accomuna è il concetto di famiglia: le mamme di entrambi i sessi stanno in casa, a cucinare, mentre i papà lavorano. Solo le mamme vanno ai colloqui.

In questa realtà quindi, il cambiamento è molto lontano.


Il secondo intervento è di Lorella Zanardo (Il Corpo delle Donne, documentario e libro, ediz. Feltrinelli, attivissima nelle scuole con il progetto “Media Education”).


Introduce il Global gender gap. L’indice di tipo anche economico, che misura il divario tra i generi in tutto il mondo. L’Italia è al 69° posto, il Nord Europa tra i primi. Non è un gran risultato e noi donne non avremo autorevolezza se non si fanno leggere questi libri contro gli stereotipi ai bambini. Altrimenti sarà molto difficile che il cambiamento possa avvenire.

 Un saluto cinese si traduce con “benvenuti in tempi interessanti”, questo potrebbe essere un momento interessante. Eppure su RAI 3, rete nazionale, nel programma condotto da Fazio, la signora Littizzetto fa a pezzi il declinare il mondo anche al femminile e queste dichiarazioni vanno contro lo sviluppo delle donne. Ci vorrebbe una protesta formale e civile contro questo fatto. Qualcosa che non ha nome NON esiste. Capite che ha un peso enorme. Un giorno, a passeggio con la figlia, la bambina notò la toponomastica stradale: le vie hanno tutte nomi di uomini. Come mai mamma? Appunto, l’autorevolezza delle donne necessita la declinazione al femminile.

Il progetto che portiamo nelle scuole, “Media Education”, cerca di insegnare ai ragazzi una visione più aperta e consapevole, di questa disparità, dell’uso delle immagini in generale (dai programmi alle pubblicità) e insegna un uso critico della televisione. Diciamo anche che questo lavoro spetterebbe al ministero, ma che non fa.


[Vengono mostrati dei video televisivi, per me illuminanti].

Si evince subito la differenza nell’inquadratura che il cameraman fa tra ospiti femminili e maschili. La donna è inquadrata dai piedi, risale le gambe e si ferma solo alla fine sulla testa. Le domande rivolte alla concorrente donna, nei programmi televisivi più comuni, è di tipo “chiuso”, le risposte possono essere Sì o No, non viene concessa realmente la parola. Le inquadrature dei maschi invece partono subito da un mezzo busto e infine c’è il primo piano, le domande sono aperte, sono liberi di comunicare (studi, hobbies, lavoro, interessi etc.).  Questa è una oggettivizzazione che ha conseguenze gravissime.

Dobbiamo richiedere il diritto di avere una televisione non nemica della famiglia, combattendo l’oggettivizzazione. L’identificazione con quel modello delle inquadrature, dai piedi ai seni, per quarant’anni, ha sgretolato la nostra autorevolezza. Per tutti questi anni alle donne si sono poste domande chiuse, vai in bici? Sì/No, non è stata concessa la possibilità di esprimersi. È mortificante!

L’attrice Cate Blanchett durante un’intervista si è ribellata al cameramen che stava facendo la classica inquadratura. Si è accovacciata e ha detto «Cosa riprendi quaggiù che non c’è nulla di interessante?» poi lo ha esortato «potresti riprendermi il viso per piacere, faresti così se fossi un uomo?». 


Qualcosa quindi sta cambiando, in meglio, grazie all’attivismo.


Cosa possiamo fare tutti e cosa ci proponiamo di fare con i ragazzi? Non giudichiamo ma diamo gli strumenti necessari e insegniamo a protestare nel modo giusto.

Ogni volta che non ci piace qualcosa, bisogna scrivere in modo educato e formale all’azienda e allo IAP - Istituto Autodisciplina Pubblicitaria per far ritirare la pubblicità [ci ha mostrato cartelloni volgari e offensivi all’inverosimile, che sono stati ritirati].


Siamo al 75° posto per la libertà di stampa.


I ragazzi e le ragazze italiani stanno migliorando il mondo, hanno attivamente fatto togliere gran parte di quello che offende la dignità. È bene che si sappia!


Terzo intervento con Stefano Ciccone, dell’Associazione e rete nazionale Maschile Plurale e autore di Essere Maschi. Tra potere e libertà.


Pioniere degli studi sul maschile in Italia.

Il maschile non è universale ma parziale, poiché è solo una parte.


Quanto è ambiguo il cambiamento? Ci sono grandi contrapposizioni, come le sentinelle in piedi nella loro protesta che si scontrano con la realtà di cattolici e cristiani che dialogano invece sulla differenza come dimostrano vari esempi sulla teologia femminile. [mostra delle copertine di vari saggi].


Nella vita quotidiana abbiamo esempi evidenti di un linguaggio che imbriglia i generi e che nemmeno notiamo più. Un esempio sono i cartelli dei bagni pubblici. I fasciatoi sono solo nei bagni femminili, nella metro l’insegna con il passeggino è solamente con la figura femminile della mamma. Bisogna rendere consapevole il linguaggio perché condiziona il modello.

Altro esempio, le buone maniere e le cattive maniere, nelle seconde risiedono le cose sconvenienti tra cui le parolacce: le più comuni sono zoccola/frocio. Queste offese sono le regole invisibili che vigono nella società, definiscono ciò che è considerato “buona maniera”.

Ci sono elenchi lunghissimi di dicotomie maschile/ femminile: soggetto/oggetto, razionale/emotivo, cultura/natura, forte/debole eccetera.


La virilità si emancipa fuori dal corpo: si portano i soldi a casa, si incita allo stadio, e così via. Perché servono conferme, tutta questa costruzione è precaria. Il nostro corpo è plasmato dai modelli sociali. Gli uomini proteggono le donne ma le controllano pure. L’uomo è violento ma anche il salvatore, pensate allo spot di Giuseppe Fiorello contro la violenza sulle donne: le conduce in una stanza e toglie loro il bavaglio, le libera e le salva, è un uomo a farlo. Stesso discorso per la ragazzina indiana che rischia la molestia sessuale ed è salvata da più uomini che simboleggiano diverse religioni. Per salvarla alla fine si dispongono a cerchio, la ingabbiano, e lei sorride soddisfatta. Si sente finalmente al sicuro protetta da uomini.

Pensiamoci, teniamo vivo il nostro senso critico e la nostra consapevolezza.


Ultimo intervento è quello di Donatella Lombello, Professoressa di Storia della Letteratura per l’infanzia nella Facoltà di Scienze della Formazione all’Università di Padova.


Le proposte impositive: era quando il lettore “doveva” aderire a quello che gli autori proponevano nei libri.


Per affrontare il tema dell’evoluzione nella letteratura dell’infanzia, Bianca Pitzorno definisce un tempo di svolta: prima e dopo Pippi Calzelunghe.

Prima di Pippi ricordiamo anche Alice di Lewis Carroll e poi Bibi di Karin Michaëlis. Erano già personaggi in controtendenza.


Bibi, la bambina del Nord, siamo negli anni ’30, vive con il padre capostazione e una madre nobildonna, e già qui abbiamo una famiglia atipica. Rappresenta la prima frattura con i canoni sociali. La bambina è libera di esplorare da sola i vari paesaggi. Si staglia come un modello di innovazione.


Pippi è del ’45, ha uno spazio di azione e di pensiero, il corpo è sbrigliato, come ha vissuto l’autrice stessa, Astrid Lindgren, con parità di compiti quando c’era da portare avanti dei lavori. I personaggi maschili si mettono in relazione e sono simmetrici. Il papà di Bibi la lascia libera di partire con il treno purché gli scriva, anche quello di Pippi non è mancante, è presente poiché scrive.

Un altro personaggio della stessa autrice, Ronja, è una bambina molto libera e fuori da ogni canone, figlia di Matteo, capo dei briganti. Vive tra i briganti, nel bosco. È un personaggio dirompente!


Nel 1960 Gianna Anguissola, autrice prolifica, si rivolgeva alle adolescenti invitandole a crescere e formarsi con il Diario di Giulietta, un modello alto borghese. Faceva aspirare a quel modello attraverso le descrizioni: gli abiti indossati, gli arredamenti della casa, le abitudini di quella famiglia. Il padre di Giulietta è un imprenditore che si occupa anche dell’educazione della figlia. L’autrice propone scelte più fedeli alla personalità della ragazzina che legge quei romanzi: fare il proprio dovere poi anche quello che ci piace fare.

Le bambine di Bianca Pitzorno, (Ascolta il mio cuore, eccetera), invece si ribellano alle angherie.


Oggi non ci sono modelli così stigmatizzati, in modo impositivo, ma c’è la proposta cui puoi aderire se vuoi. Con una presa di consapevolezza.




Questi sono i miei appunti, scritti velocemente per non lasciar sfuggire quello che più mi colpiva quindi mi scuso per le eventuali scivolate.

Termino così questa lunga annotazione di pensieri. Qualcosa, con fatica, sta cambiando!

 

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