Mille e un giorno. L'anno Mille sta per scoccare, per Allegra e i giovani lettori

Mille e un giorno


di Francesca Mariucci


Riccardo aveva appena compiuto undici anni ma per tutti era “il Baldo”, da quando aiutò a soccorrere i soldati feriti che tornavano dalla battaglia di Campo Fosco. Fu abile e non ebbe paura né dei nemici e nemmeno di tutte quelle ferite. Lo soprannominò così Pandolfo dalle Bande Nere, il Signore della Rocca.

Quella notte era in mezzo al sentiero, stava immobile a osservare ogni dettaglio perché sarebbe successo qualcosa di veramente grosso, almeno così dicevano tutti. A un certo momento vide una lanterna che brancolava nel buio. Aguzzò lo sguardo e riconobbe la corpulenta sagoma di Ursone, il fabbro, che stava correndo con un grosso fagotto. «L’ennesima fuga» pensò.

In tutti i villaggi regnava il terrore per quella notte. Riccardo aveva assistito per giorni alla processione di carri e viandanti di tutti i tipi. L’abbazia era ormai affollata di gente arrivata anche da molto lontano. I ritardatari si erano accampati di fuori. Al castello c’era lo stesso afflusso di persone e gli armigeri presidiavano le mura. Tutti cercavano la stessa cosa: protezione.

Le campane iniziarono a suonare, la mezzanotte doveva essere vicina. Fra Basilio aveva raccomandato a tutti di pregare senza sosta, inoltre da giorni un predicatore forestiero gridava nella piazza l’imminente Fine dei Tempi. «È scritto Mille e non più mille» urlava, «la fine del mondo con il Giudizio Universale sta arrivando».

Quella non era una notte qualunque. Era appena trascorso l’ultimo giorno dell’anno 999.

«Io non ho paura!» gridò Riccardo sfidando le tenebre. «Questa notte scocca l’anno Mille, vedremo se sarà la fine del mondo!». Una grande rabbia lo animava. «Non può finire tutto così, ho solo undici anni!» aggiunse piano.

«Riccardo?» la voce di Melisenda, figlia di Messer Pandolfo.

«Cosa ci fai fuori dal castello, sei impazzita?». Riccardo le andò incontro. «Eppure lo sai che è pericoloso, ci sono briganti ovunque e poi c’è…» non riusciva a dirlo.

«La fine del mondo?» terminò la frase Melisenda. «Vorrei aspettarla fuori, come te» aggiunse con voce un po’ tremante.

«Tuo padre s’infurierà». Riccardo era dubbioso, tutta la situazione era già troppo complicata così, senza dover badare ad altro.

«Se finirà il mondo davvero, che potrà mai farci il potente Pandolfo?». Melisenda lo implorò con lo sguardo e seguì un lungo silenzio.

«E così sia!». Riccardo infine sorrise e Melisenda lo abbracciò. Riacquistò immediatamente la sua caratteristica loquacità.

«Hai saputo del candelaro, Goffredo?» chiese Melisenda, ma proseguì senza attendere la risposta, «Balia Odetta ha detto che ha perso tutto al gioco e ieri l’hanno ritrovato tramortito!» esclamò. «Come se non bastasse, la moglie è scomparsa nel nulla». Fece una smorfia di paura. «Secondo molti è opera di qualcosa di oscuro, un segno della fine dei tempi!» disse portandosi le mani davanti alla bocca.

«Forse è solo caduto e ha sbattuto la testa e forse sua moglie è semplicemente andata via» ribatté Riccardo.

«Quanti forse!» gridò stizzita Melisenda. «Devi pur ammettere che si susseguono troppi fatti strani: aggressioni, furti, sparizioni, come lo spieghi, dimmi?».

            «Non lo so, tanti hanno paura di questa notte e credono che si potrebbe squarciare la terra per inghiottirci tutti, o che potrebbero arrivare mandrie di demoni per catturarci, invece io penso che potrebbe anche non succedere nulla». Riccardo scrollò le spalle e Melisenda iniziò a non essere più tanto sicura di voler restare fuori dalle mura, al freddo e al buio, con Il Baldo che in realtà non aveva garanzie di salvezza, o coraggio, da darle.

«Non esiste un posto giusto in cui stare stanotte», proseguì Riccardo. «Se fosse vero quello che tutti dicono…» fece una pausa per riflettere. «Credo davvero che non accadrà nulla, perché lo spero con tutto me stesso» concluse e accennò un sorriso. Melisenda sospirò.

Al villaggio intanto c’era chi pregava e chi piangeva, ma anche chi beveva fino a stordirsi. A un certo punto i ragazzi distinsero un’ombra che si avvicinava. Melisenda si accostò a Riccardo.

«Eccomi, ci sono anch’io!» arrivò Alarico, figlio dell’armaiolo.

            «Amico!» gli corse incontro Riccardo. «E così non sei andato al castello!». Si abbracciarono. «Andiamo allora, aspetteremo sul picco grande, da lì vedremo tutto» e così fecero, dirigendosi verso la sommità della collina di fronte al villaggio.

Il cammino era abbastanza ripido. Ogni tanto si fermavano per riprendere fiato e ascoltavano i colpi dei tamburi e il suono delle campane. Quella notte erano proprio tutti in allarme, sembrava una faccenda davvero seria e inquietante. «Voglio vedere tutto!» ripeteva Riccardo.

Arrivarono in cima e furono improvvisamente spaventati dalle grida di un’aggressione. Alarico alzò la torcia. Poco sotto, videro il corpo a terra di un uomo e una figura nera che scappava appesantita da un grosso fagotto. Riccardo scese a grosse falcate, Alarico lo sorpassò. Raggiunsero in un attimo il malcapitato. Per ultima arrivò Melisenda, col fiatone. La luna illuminò la scena. A terra c’era il corpo del fabbro Ursone, ferito alla testa.

            «È morto!» gridò Melisenda. «È stato quello spettro nero, siamo tutti perduti!».

I ragazzi si accovacciarono accanto all’uomo, che invece respirava ancora.

«È stato aggredito da qualcuno» disse Alarico, scacciando la paura del demone.

            «L’hanno derubato, è stato un ladro» precisò Riccardo, «proviamo a fasciargli la ferita».

Melisenda intanto si era allontanata perché quel sangue le faceva impressione. Mentre i due ragazzi stavano finendo di fasciare il fabbro, udirono un grido spaventoso. Riccardo e Alarico si guardarono stupiti poi, si accorsero che Melisenda era sparita. Cominciarono a cercarla tutto intorno. Con quel vestito lungo e pesante non sarebbe potuta andare lontana. Eppure non c’era più. Si era come dissolta nell’aria.

«Allora c’è davvero un demone in giro» sussurrò Alarico con gli occhi sgranati.

«Non dire sciocchezze» rispose Riccardo, ma non ne era più tanto sicuro. La notte sembrava davvero maledetta. Afferrò l’amico per un braccio. «Andiamo verso il bosco, forse è stato lo stesso ladro che ha ferito il fabbro». Si misero a correre più veloci che poterono, finché dovettero fermarsi perché non ce la facevano più.

            «Chi l’ha rapita non può essere andato più svelto di così» disse Riccardo ansimando.

            «Se non fosse umano però…» Alarico si bloccò, Riccardo lo stava già trapassando con lo sguardo, ma un rumore, proveniente da un punto che avevano appena superato, li attirò. C’era una grotta che i ragazzi non avevano mai esplorato. Ripercorsero il tragitto carponi, nella speranza di non essere visti. Giunti quasi all’apertura del varco riconobbero la voce piagnucolante di Melisenda. Improvvisamente qualcuno afferrò la caviglia di Riccardo che dallo spavento saltò come un grillo.

            «Sono io» sibilò Alarico. «Ho trovato un bel bastone, magari ci può servire».

            «Volevi farmi morire dalla paura?» lo rimproverò Riccardo a bassa voce. Si spinsero a vicenda infine si accostarono di fianco all’entrata.

«Hai un piano?» gli domandò speranzoso Alarico con un filo di voce. Non ci fu risposta, Riccardo afferrò un ceppo che era lì accanto e tirò con sé l’amico. Con un guizzo improvviso entrò nel buio gridando «Caricaaaaa!». Alarico fremette poi si scagliò anche lui con il bastone alzato.

La grotta era piccola e ci fu subito una gran confusione di colpi, di grida e di ruzzoloni. Potevano essere in tanti o in pochi, con quel buio i colpi erano dati a casaccio, non si capiva nulla. Infine la zuffa si spostò fuori. Continuarono a strattonarsi, spingersi, colpirsi. Avevano tutti preso delle botte e avevano ammaccamenti dolorosi ovunque. Alla luce della luna si capì che l’aggressore era uno solo ma molto forte.

«Ho rischiato di fare la fine del fabbro!» gridò Alarico con una mano premuta sulla testa e con l’altra che stringeva il balordo, che però si liberò e si tuffò su Melisenda, che era appena riuscita a liberarsi. La afferrò con rabbia e voltandosi rivelò la sua identità.

«La fine del fabbro o del candelaro, volevi dire» gridò Riccardo rialzandosi da terra. Di fronte avevano proprio sua moglie, che tutti credevano scomparsa. La donna, dallo sguardo folle, alzò una pietra sulla testa della povera ragazza. Gli amici cercarono di fermarla ma era davvero forte. Con un impeto di coraggio Melisenda pestò forte il piede della donna, che urlò dal dolore, e finalmente i ragazzi le furono addosso.

«Ora dovrai rispondere dei tuoi misfatti!» ringhiò Riccardo. La donna però rise sguaiatamente.

«Fra poco sarà tutto finito!» sibilò, poi rise ancora più forte.

«Vecchia strega!». Un vocione fece trasalire tutti i presenti e la donna si ammutolì di colpo. «Ne risponderai a Pandolfo, non appena vedrà come hai conciato sua figlia e quello che hai fatto a tuo marito e…a me!».

«Ursone!» gridarono quasi in coro. Il fabbro era dolorante ma sovrastava tutti. Agguantò per le braccia e senza fatica la donna. I ragazzi raccolsero il fagotto del fabbro e, quasi senza parlare per la stanchezza, si avviarono verso il castello. Le luci dell’alba facevano già capolino e un gallo cantò. A breve il sole avrebbe sfoggiato tutti i colori del giorno.

«Riccardo!» Melisenda bloccò il piccolo corteo. «Avevi ragione, siamo già nel primo giorno dell’anno Mille!». Le brillarono gli occhi. Era raggiante.

«Sì, è appena finita anche la notte più agitata della mia vita» aggiunse Riccardo.

«E io che ero scappato in preda al terrore…» rifletté borbottando Ursone.

«Proprio vero» commentò Alarico «ma io farò in modo che il giorno dopo il Mille sia quello in cui avrò più dormito!». Tutti risero di gusto, tranne la prigioniera.

Erano esausti ma contenti. Ripresero il cammino verso il castello e andarono incontro al nuovo secolo, sorridendo.

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