Halloween entra in classe, la vera storia

31 Ottobre, c’è poco da fare, è Halloween!

Per molti è considerata una festa importata dall’America, addirittura in contrasto con il Cristianesimo. Per altri la storia è nota, senza misteri. Siccome a volte crea scompiglio tra i genitori ho pensato stregonescamente di andare in classe, per raccontarla ai bambini. Loro sanno ascoltare e magari racconteranno a casa quello che li ha coinvolti di più. Ma partiamo dalla storia vera, come ho fatto in classe, e premetto che qui non farò facce buffe ma racconterò agli adulti che vorranno ascoltare.

Secondo molti, me compresa, la storia parte da molto prima, perché parla di paure ancestrali a cui l’uomo non si è mai potuto sottrarre. Per essere precisi la collocheremo ai tempi dei Celti, i quali hanno lasciato tracce più evidenti delle loro celebrazioni. Quella in particolare cui facciamo riferimento si chiamava Samhain. Il loro Capodanno. Finiva la stagione dei raccolti e cominciava quella dell’inverno: buio, freddo e con poche risorse da poter trovare.

Quali sono i colori della festività in questione? Arancione e nero. Si deduce facilmente che l’arancione rappresenta la mietitura e il nero le tenebre, la paura. Da quanto tempo, secondo voi, l’uomo provava paura della stagione invernale? Il raccolto doveva bastare per tutto l’inverno, spiegatelo agli insetti che lo danneggiano, ai roditori, alle muffe. E un raffreddore o peggio un virus influenzale, poteva significare la fine. Ecco con quale spirito i nostri antenati salutavano l’autunno, ancora ricco di frutti, ancora per poco. Sappiamo che i Celti consideravano questo passaggio, (da una stagione benevola a una molto pericolosa), come molto delicato, tanto da possedere poteri  magici. Era una transizione talmente delicata da far connettere il mondo dei vivi con il mondo dei morti. Questo portava l’inverno, molte morti. Allora i Druidi, i sacerdoti celtici, speravano che celebrando Samhain l’inverno avrebbe potuto risparmiare qualche pena. Radunavano le popolazioni dei villaggi in una collina, sotto la quercia prescelta. La gente lasciava le case buie e senza bracieri ardenti, così nessuno spirito si sarebbe mai fermato all’interno. Un grande fuoco invece era acceso per la festa. Ognuno portava qualche dono e lì venivano bruciate le offerte, per ottenere in cambio un buon inverno. Si mascheravano anche con pelli di animali, per spaventare gli spiriti e dopo la festa ognuno faceva rientro a casa con un pezzo di brace di quel fuoco propiziatorio racchiuso in una rapa cava. Sarebbe servito da lanterna per illuminare la strada accidentata e buia e avrebbe anche consentito di poter accendere di nuovo il fuoco domestico.

Ai romani piacque molto questa festa, forse perché ne condividevano il significato, ma più che una divinità spaventosa come Samhain preferirono adattarla a una più gioiosa come la Dea Pomona, che elargiva i frutti della terra. Per i Cristiani Samhain divenne il giorno dei Santi, ovvero All Saints Day, e la notte del 31 ottobre divenne All Allows Eve, santificare/Hallow, da cui facilmente si arriva a Halloween. Perché scrivo in inglese? Perché è in Irlanda che questa tradizione mantiene vivo il significato originale, accorpandolo bene nella concezione Cristiana della festività dei Santi e dei defunti. E perché ci viene in mente sempre l’America? Perché è lì che molti irlandesi si rifugiarono, in massa, soprattutto nel 1845, quando una terribile carestia colpì la popolazione, sterminando intere famiglie. Chi decise di partire si portò nella valigia anche tutte le tradizioni, le usanze e l’amore per il paese che stava lasciando. In U.S.A. sono più comuni le zucche delle rape, e le lanterne cambiarono forma, si adattò anche la storia di Jack O’ Lantern, e della rapa si perse traccia.

E in Italia? Qui sappiamo bene che questi giorni sono dedicati alla preghiera per i defunti. In molte zone del nostro paese esiste la credenza che tornino a bussare per chiedere preghiere di suffragio e noi gli accendiamo dei lumini…non proprio le rape e nemmeno le zucche, ma una luce che arda per illuminare il buio del purgatorio. Resta immutato il passaggio e la comunicazione tra i due mondi. In Val D’Aosta si usava vegliare il fuoco e preparare un piatto di cibo per i defunti che sarebbero potuti tornare a fare visita. Stessa cosa in Piemonte, fino alla Sardegna e alla Sicilia. In Veneto addirittura si intagliavano proprio le zucche, si svuotavano e si dipingevano. All’interno era posto un lumicino che simboleggiava la Resurrezione. Nella mia regione, l’Umbria, si cucinano per l’occasione le “fave dei morti”, un dolce che simboleggiava e sostituiva le carezze dei defunti. Ma chi se lo ricorda più! In Emilia Romagna, regione in cui ora vivo, si celebrava la “Carità di murt”, i poveri potevano bussare alle case per chiedere… dolcetto o scherzetto? No, chiedevano cibo o qualche moneta per calmare le anime dei defunti di chi donava, a volte si mandavano i bambini, magari mascherati così ci si vergognava meno, si travestivano da fantasmini e facevano finta di essere le anime dei defunti che chiedevano un dono e una preghiera così assicuravano che non avrebbero fatto scherzi o causato spaventi. Stessa cosa in Abruzzo e in Sardegna, dove i bambini che bussavano venivano chiamati “animeddas” e nel nuorese si spaventavano i passanti con zucche intagliate. In Sicilia i bravi bambini ricevevano frutta secca da parte dei defunti. E così via.

Mi fermo qui, solo per concludere dicendo che questo passaggio stagionale continua a racchiudere tutto quel bagaglio di tradizioni ed eventi antichissimi, che sono appartenuti ai nostri predecessori, e sebbene oggi cambi nome e qualche forma, lascia ancora intravedere pezzetti della nostra storia antica, delle vecchie paure che non scadono mai. Happy Halloween a tutti!

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Commenti: 1
  • #1

    Alessandra (venerdì, 31 ottobre 2014 12:07)

    Grazie Franci, che bello imparare sempre qualcosa di nuovo... Ognigiorno... Così che le nostre sinapsi allegramente ci sostengano sempre!!!